Il #Virus siamo noi

I

Non mi terrorizza la barbarie della rete che sta sempre più avendo un ruolo centrale nella vita e nelle dinamiche sociali (prevalentemente politiche) di questi mesi ed anni. Non mi terrorizza perchè sono nato e cresciuto intorno ai Troll della rete, quelli veri, quelli che mi hanno mandato a letto con un livore da mangiare il fegato e che sapevano spelarti vivo con la retorica. Quelli che li avresti ammazzati, mangiati vivi.

Quei Trollflamer così in gamba che di alcuni sono divenuto amico non tanto per stima personale, quanto per la enorme stima nel loro sapiente uso della dialettica e della oratoria fine, non volgare, che sapeva ferire in punta di fioretto e non con una clava sporca di escrementi come sembra la moda.

Non mi spaventa anche perché ho imparato negli anni (e ormai sono online da un bel po’ di anni) che siamo un “popolo della rete” (lo so che è una definizione idiota, come il “popolo del cellulare”, quindi please [@quinta][2] non mi picchiare ), dicevo un “popolo della rete” di pantofolai ed “#Indivanados”, un popolo capace di urlare a squarciagola, ma solamente da dietro la sicurezza di un paravento di anonimato. Un popolo che ha perso (direi “ahimè”) la voglia di fare altro che cliccare magici “like” che cambiano il mondo per magia.

Mi terrorizza, però, la facilità con cui fanno certe affermazioni in pubblico, mi sconcerta ed indigna, come “bravo” (per valori molti ampi di bravo) cittadino e come persona ligia alla legge, come si arroghino una violenza verbale incredibile senza in nessun modo nascondere la loro identità. Sia chiaro, non penso che siano idioti ignoranti (buoni…….), ma che semplicemente siano perfettamente consci di essere in piena vista. E non gliene importi nulla.
Questo, se devo dire la verità, mi inquieta davvero molto. Mi inquieta che si sentano a casa e tranquilli, che insultino, che incitino allo stupro ed alla barbarie, che urlino e sbraitino e ammorbino e imbrattino di feci la rete con la punta di una tastiera digitale, e che ne siano quasi orgogliosi e portino queste loro “mirabilanti boutade” quasi a vanto, mostrandole felici nel loro Facebook Wall o in un account Twitter pubblico.

Da attivista digitale spero molto nel Darwinismo digitale, ma non posso fare a meno di constatare come chiunque con un minimo di tecnologia sia in grado di tracciare un profilo preciso di queste persone con pochi colpi di click e con pochissime righe di codice: mi è bastato meno di un quarto d’ora per avere l’elenco di circa 250 account Twitter che hanno votato a favore della violenza in Camera allo pseudo-sondaggio di Rai Virus. Mi ci è voluto un po’ di più, circa una mezz’oretta, per avere l’elenco di circa 1.500 account Twitter che hanno dato della donna di malaffare alla Boldrini. Con un’ora e mezza di lavoro ho estratto tutti gli account Facebook che hanno insultato almeno un politico nell’ultimo mese sulla pagina Facebook di Beppe Grillo (e ammetto che leggerli mi ha dato molta fede nell’#asteroide e poca fede nell’umanità.

Cosa me ne faccio? Nulla. La tentazione di creare uno script per insultarli uno ad uno (o spedire l'[ottimo manuale di nequette della dolce Alessandra][4]) è forte, così come quella di creare la lista di proscrizione dei deficienti in rete, una sorta di Deficientometro che salvi questi commenti e dato un utente tuo amico ti dica quanto è deficiente. Oppure un comodo servizio REST da vendere alle aziende con “elimina gli utenti cafoni e deficienti dai tuoi Follower”. Ma le [liste di proscrizione][3] sono un retaggio del Fascismo (e di [Grillo][3], ok, ma non stiamo a sottilizzare), e non mi trovano mai molto daccordo.
Certo è che il fatto che io possa avere questa lista e che la possa conservare per anni è un qualcosa che chiunque insulta gratuitamente nella rete dovrebbe ricordare. Come dovrebbe ricordare che la rete dimentica difficilmente e che queste particolari esternazioni resteranno online per molto, moltissimo tempo. E che la rete non è un “luogo diverso”, nonostante quello che molti paladini delle supposte libertà (di cosa? di insultare e di minacciare?) della rete vogliono fare credere, ma ancora un luogo che spesso tutela e che dovrebbe essere ancora più fermo nel contrastare questo tipo di violenza verbale, anche solamente per fare comprendere come la distanza e la tastiera non siano una scusante sufficiente per staccare anche il cervello, per tornare ad una normalità. Una normalità difficile da ottenere, sembra, perchè la tendenza verbale all’attacco ed all’insulto permea (soprattutto nelle nuove generazioni) dall’online all’offline e sinceramente non vorrei trovarmi in un mondo offline che ricalchi quello online.

Siamo migliori di così, anche se arrabbiati, stanchi, stressati e delusi. Ma tirare palle di escrementi non ci deve fare sentire meglio: quello che dovrebbe farci sentire meglio è andare contro con la volontà e la fermezza, dire un no garbato ma deciso ed incrollabile anzichè il porcone volubile e mutevole che si usa. Dire la nostra con educazione ma irriducibile fermezza e cambiare il mondo un passo alla volta, ok, ma senza mai tornare indietro.

Perchè è vero che “dal letame nascono i fior”, ma dal fango i mattoni, e dai mattoni le cattedrali. E Dio solo (comunque lo concepiate) sa quanto abbiamo bisogno in questo periodo non già di lotte, ma di costruire assieme un futuro incrollabile.

E voi? Cosa ne pensate?

Estote parati.

[2]: http://www.chefuturo.it/2012/06/breve-storia-della-mia-candidatura-all-agcom/
[3]: http://www.beppegrillo.it/2013/12/giornalista_del_giorno_maria_novella_oppo_lunita.html
[4]: http://www.alessandrafarabegoli.it/manuale-di-buonsenso-in-rete-ebook/

l'autore

Matteo Flora

Mi chiamo Matteo Flora, sono imprenditore seriale, docente universitario e keynote panelist e divulgatore. Mi occupo di cambiare i comportamenti delle persone usando i dati.
Puoi trovare informazioni su di me ed i miei contatti sul mio sito personale, compresi i link a tutti i social, mentre qui mi limito a raccogliere da oltre quattro lustri i miei pensieri sparsi.
Buona lettura.

di Matteo Flora

Matteo Flora

Mi chiamo Matteo Flora, sono imprenditore seriale, docente universitario e keynote panelist e divulgatore. Mi occupo di cambiare i comportamenti delle persone usando i dati.
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